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Eligio Everri – da Alpino a Partigiano della Val Trebbia

Combattente nella 4° Brigata “Cattaneo”
Inquadrata nella “Divisione Partigiana Piacenza”

Grazie Maria Zaga per avere scritto di Eligio allo scopo di ricordare lui e quelli come lui che hanno dato tanto perché noi potessimo vivere liberi.
Grazie anche a Laura Badiini che ci concede un articolo del suo sito www.lavalledellefavole.com, dimostrando la propria sensibilità verso la storia della Val Trebbia e dei suoi abitanti.

Scrive Maria Zaga:

Abbiamo incontrato Eligio Everri, classe 21, nato a Bobbiano di Travo che lasciò, all’età di 13 anni, per stabilirsi a Mezzano Scotti. La Seconda Guerra Mondiale lui l’ha vissuta. Ha trascorso la sua vita lavorativa a Milano ma, da parecchi anni, ha fatto ritorno nella valle a lui cara e vive a Travo.

E’ gioviale e non disdegna un confronto coi ricordi, nemmeno con quelli sgradevoli della Grande Guerra. Chi l’ha vissuta non può che considerarla una parentesi forzata della propria vita, un periodo di caos sia per la mente che per il fisico. Difficile parlarne, ma noi vogliamo sapere. Loro cercano di dimenticare, noi chiediamo di ricordare. Ci sentiamo in debito con chi ha lottato anche per noi. Il dramma è stato loro, a noi il compito, molto più agevole, di tramandare la loro voce, perché una guerra non va mai dimenticata. Certi episodi sono stati occultati volutamente per tanto tempo. Non dovevano essere scritti nei libri di storia.

Sono passati tanti anni, molti combattenti ci hanno lasciato, chi è rimasto non è più tanto giovane. Vorremmo che ci raccontasse tutto e… ce n’è da raccontare!

Eligio apparteneva al III Battaglione Alpini Susa, battaglione di pronto intervento e, durante la guerra, era di stanza nel Montenegro.
Il cibo era sempre poco e scadente, persino il pane risultava indigesto, ma bisognava sopravvivere e si divorava tutto quello che poteva sembrare commestibile, anche se molti soldati lamentavano terribili disturbi.

Eligio soffriva di sciatica ma, da un po’, accusava anche uno strano dolore all’addome. Richiesto un ricovero per una diagnosi, la notte stessa, arrivò un medico, un maggiore di Bologna, che gli annunciò un’appendicectomia urgente. Il nostro alpino era terrorizzato, tanto che il medico si fermò un po’ a scherzare per sdrammatizzare la circostanza. L’intervento fu eseguito con l’anestesia spinale e con la presenza di un’infermiera di Piacenza. Era davvero urgente ma, per fortuna, andò tutto bene e fu prescritta una convalescenza di 50 giorni.

Eligio ricorda di essere partito in nave e approdato a Bari. Il Natale del 1942 lo trascorse a S. Giuliano di Pescara per dirigersi, subito dopo, verso casa. Terminata la convalescenza tornò a Susa ma non fu più abilitato al servizio di guerra.

Quell’otto di settembre del 43 portò smarrimento lungo tutto lo Stivale. Presto, in caserma, si capì che l’unica cosa da fare era fuggire senza sapere dove e quasi nemmeno il perché. Certo era che bisognava scartare la divisa e lanciarsi giù per l’Italia. Per fortuna, il nostro alpino aveva un vestito con sé e, buttata l’uniforme, raggiungeva Torino. Anche lì c’era il finimondo e graduati tedeschi ovunque. Con un po’ di scaltrezza, Eligio riusciva a salire su di un treno diretto a Piacenza, dove la situazione era analoga. I graduati tedeschi erano ovunque e si portavano via tutti i militari italiani. Fuori dalla stazione, tanti piacentini, che sapevano più o meno cosa stava succedendo, erano accorsi per fare un po’ di chiasso così da tenere impegnati i tedeschi e dare ai militari italiani l’opportunità di fuggire.

Eligio era in compagnia di tre amici. Un signore alto e distinto si avvicinò loro chiedendo se fossero soldati e, alla loro affermazione, li pregò di seguirlo. Li portò a casa sua, offrì loro da mangiare e due camere per dormire. Il giorno seguente, ognuno aveva una bicicletta in prestito per poter far ritorno a casa. Lasciarono i loro indirizzi per il recupero dei mezzi.

I quattro ragazzi erano così spaventati e disorientati che non chiesero nemmeno il nome a questo signore così gentile. Gli domandarono solo come mai facesse tutto questo per quattro ragazzi che non conosceva. Purtroppo, anche lui aveva dei figli in guerra e, in cuor suo, sperava che qualcuno li aiutasse.
Ma non c’era tempo per i convenevoli, si doveva arrivare a casa e la strada era ancora lunga. Cosa mai avrebbero potuto trovare sulla via del ritorno rimaneva un mistero.

Alla Galleana, c’era una pattuglia di tedeschi con le mitragliatrici puntate. Che fare? Mentre i tre amici si dirigevano spediti verso Bettola, Eligio era costretto a passare davanti alla pattuglia. Fingendo di avere una gamba malridotta, pedalava con un solo piede, col cuore che batteva a mille. Non aveva tempo per pensare, doveva passare lì e basta. Non successe nulla, i tedeschi parlavano fra di loro, non lo notarono. Alla Verza, ormai fuori dalla visuale del nemico, iniziò a pedalare come mai aveva fatto in vita sua. Finalmente, trafelato, arrivò a casa.

Nei giorni successivi, passò una persona a riprendere la bicicletta e nemmeno allora Eligio chiese il nome di colui che aveva aiutato lui e i suoi amici. Oggi è convinto di poter affermare che non c’era la testa per pensare in quei frangenti. Sì, perché la guerra cambia il cuore e l’intelletto, toglie le certezze, le speranze e smantella il dovere di riconoscenza.
In quei giorni si formarono tante brigate antifasciste. Anche per Eligio si aprirà un nuovo capitolo di vita, sarà, da allora fino alla fine della guerra, un partigiano.

 

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