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Monticello 2020 – Il ricordo che azzera le distanze

«Doveva esserci una ragione che non aveva a che fare solo col passato se, nel mio tempo, la memoria di quella gente da niente, come loro e come noi, rischiava di perdersi proprio nel farsi rito, fino a ricomprendere persino quella del nemico, coniando concetti illogici come “memoria condivisa”, e al punto da mettere sullo stesso piano vittime e carnefici, perché “i morti sono tutti uguali”. E la ragione non poteva essere altro che il fatto che quella storia faceva ancora paura»
Andrea Olivieri, “Una cosa oscura, senza pregio”

 

I giorni che vanno dalla fine di febbraio a quella di aprile per chi, come noi, ha scelto di dedicare una parte del proprio tempo a mantenere viva la memoria ed i valori della lotta di Liberazione, sono un periodo particolarmente intenso: ci si attiva con crescente coinvolgimento nell’organizzazione delle iniziative di commemorazione e per noi componenti del direttivo della sezione di Travo dell’ANPI questo vuol dire iniziare a lavorare concretamente alla preparazione della commemorazione della battaglia di Monticello di Gazzola. Quest’anno ricordare gli eventi legati alla Liberazione dal nazifascismo – e quindi anche quelli legati alla principale battaglia che venne combattuta nel nostro territorio – avrà una dimensione diversa dal solito, meno partecipata e festosa di come siamo abituati a viverla: l’emergenza sanitaria che ha colpito, in un modo o nell’altro, le vite di tutti noi influenza ancora il nostro quotidiano. Ma abbiamo pensato non fosse giusto lasciar passare questo anniversario senza provare almeno a condividere con tutta la comunità piacentina qualche riflessione su quello che viviamo come lascito dell’esperienza partigiana e su come essa riguarda ancora, a distanza di tanti anni, le nostre vite.

In questi giorni di preoccupazione e insicurezze, non potendo ritrovarci sotto il monumento al Valoroso, vorremo fossero queste righe il momento di commemorazione dedicato alla battaglia ed ai suoi eroici caduti. Non siamo degli storici, ma è giusto partire dal ricordo dei fatti: a metà aprile del 1945 le forze partigiane, in previsione della discesa in pianura, iniziano ad occupare alcuni avamposti fuori dalle zone da loro controllate. Fra questi, il castello di Monticello di Gazzola che viene presidiato da una trentina di partigiani. Una notte, precisamente fra il 15 ed il 16 aprile, il castello viene attaccato da circa 450 uomini fra componenti delle Brigate Nere e della 29° divisione SS italiane: dopo una battaglia che durerà diverse ore – e che coinvolgerà anche alcuni civili della zona in supporto ai partigiani, ennesima dimostrazione di quanto fosse ampio il consenso ed il supporto al movimento di Liberazione fra la popolazione – i militi della RSI si ritireranno a causa delle numerose perdite, subendo un contraccolpo psicologico che risulterà determinante per abbatterne il morale in vista della Liberazione di Piacenza, che avvenne il 28 aprile. Alla fine, le autorità della RSI ammetteranno le perdite: fra morti, feriti, prigionieri e assenti fra i nazifascisti mancheranno 224 uomini, quasi il 50% di quelli utilizzati nell’attacco. Ma la battaglia non fu indolore nemmeno per le forze partigiane, in quella notte caddero sotto il fuoco fascista quattro combattenti: Gino Cerri, commissario di brigata, Carlo Ciceri, partigiano di soli 17 anni, Aldo Passerini, partigiano e Lino Vescovi, “Valoroso”, comandante di brigata, medaglia d’argento al valor militare, che fino all’ultimo respiro seppe dare l’esempio della propria levatura morale invocando l’unità fra i combattenti partigiani e la clemenza nei confronti dei prigionieri nemici. Ed è a quanto ancora ha da insegnarci questo esempio che dobbiamo guardare, anche a distanza di settantacinque anni.

Non crediamo all’uso incessante che in queste settimane è stato fatto delle metafore belliche per descrivere il tempo in cui viviamo: non è una guerra perché, come scrive Annamaria Testa su Internazionale, “non c’è un nemico; il virus è un’entità biologica parassita, non un avversario con una coscienza che ci odia”. Anche noi condividiamo sia “rischioso, nell’emergenza che stiamo vivendo, parlare di guerra e d’invasione perché ci allontana dall’idea di unità e condivisione di obiettivi che ci permetterà di uscirne. L’emergenza ci chiede, invece, non solo di progettare cambiamenti sostanziali, ma di ridiscutere interamente la nostra gerarchia dei valori”. Non condividiamo le figure retoriche collegate alla guerra, dunque, ma pensiamo che se per uscire più forti da questa emergenza dobbiamo essere capaci di ripensare una nuova società, allora l’esperienza della lotta partigiana può rappresentare una grande fonte d’ispirazione: perché non nacque per difendere lo stile di vita esistente, ma per ribellarsi ad una dittatura feroce e corrotta che ammorbava ogni aspetto della vita quotidiana e aveva portato sofferenza e morte in Italia, in Europa e nel mondo. Si lottava per il diritto a ricostruire una nuova società, un mondo nuovo con maggiori diritti e possibilità per le cittadine ed i cittadini di tutti i popoli. Per questo donne e uomini, giovani e meno giovani, diversi per classi sociali, credo religioso e politico, provenienza geografica, scelsero l’impegno antifascista. Per questo morirono i quattro eroi di Monticello.

Ci siamo domandati se a distanza di così tanti anni il loro sacrificio ancora parla; cosa ci insegna? E la risposta è stata tanto spontanea quanto forte: ci insegna il valore dell’impegno individuale, dell’applicarsi con dedizione a rendere migliore il futuro della collettività, non solo per sé stessi. Una scelta singola che si fa plurale, nella certezza che solo se progrediscono anche gli ultimi della comunità in cui viviamo, ci può essere un futuro più giusto per ciascuno di noi. E a noi che come collettività abbiamo davanti la necessità di riprenderci dalla difficile esperienza delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria dice: tu per primo impegnati nel far si che un nuovo sistema sia possibile, che il diritto alla cura di tutti non venga sacrificato al guadagno di pochi, che alla responsabilità non si venga richiamati solo nei momenti eccezionali, ma impegnati ogni giorno a fare scelte consapevoli e votate a costruire il bene comune tanto nella vita professionale, quanto in quella pubblica o familiare. L’insegnamento della lotta partigiana ci sembra il miglior vaccino contro quell’apatia morale che da tempo rappresenta una malattia nell’animo delle nostre comunità.

Per questo, ci sembra che ogni giorno in cui ignoriamo le occasioni di costruire un Paese migliore partendo dal nostro vivere quotidiano, ogni volta che voltiamo la testa, ogni volta che gettiamo odio sui social network, ogni volta che diffondiamo notizie false o fuori contesto che danneggiano una persona o un gruppo di persone, ci sembra, dicevamo, che contribuiamo a creare un mondo esattamente contrario a quello che sognavano i quattro ragazzi morti a Monticello. Un mondo e uno stile di vita troppo simili a quelli che avevano costruito e difendevano gli uomini in camicia nera che erano fuori ad assediare il castello.

 

Direttivo Sezione A.N.P.I. di Travo (PC)

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