Il Presidente Eligio Everri

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Nasce il 18 settembre 1921 ai Chiosi di Bobbiano, a casa dei nonni, mentre il papà Enrico nonostante i tre figli in tenera età ed un’osteria da gestire in zona case Marchesi presso il ponte di Statto, era richiamato sotto le armi.
Alcuni mesi dopo, tornato il padre, si trasferiscono a Casa Marchi, frazione esattamente sotto la Pietra Perduca. Ci passerà l’infanzia e da qui frequenterà la scuola elementare a Caverzago luogo che, con il sole, la pioggia o la neve, raggiungeva ogni giorno a piedi.
A 12 anni, nel 1933, la famiglia si trasferisce alla Cadonica, frazione vicino a Mezzano Scotti. La famiglia è di mezzadri al servizio di una famiglia aristocratica del luogo, ferma a costumi pressoché medievali: al primo accenno di contestazione per l’ennesima angheria subita, pronunciato dal primogenito Pino, vengono “licenziati”. Assunti da un altro “padrone”, Eligio ha 14 anni e la famiglia si trasferisce a Mezzano paese, dietro la chiesa.
Eligio qui raggiunge la giovinezza ed il 22 gennaio del ’42 raggiunge sotto le armi gli altri tre fratelli già militari lasciando a casa padre, madre e due sorelle piccole. Viene inquadrato nel battaglione alpino “Susa” una unità operativa di pronto intervento. Infatti ben presto parte per il Montenegro. Con la propria unità effettua azione di presidio contro i partigiani locali: da subito riconosce che tra i soldati appare chiara la consapevolezza dell’assurdità della loro presenza in quelle terre, in casa d’altri, in zone poverissime e aridissime… Nell’autunno del ’42 si sente male e viene trasferito all’ospedale di Tirana, nella vicina Albania. Operato di appendicite in fase acuta, ottiene una convalescenza che lo porta ad essere trasferito in Italia con partenza dal porto di Durazzo e sbarco a Bari, avviato poi verso il nord. Il natale del 1942 lo passa in un ospedale presso Pescara e ricorda un gran numero di cittadini che portano cibi e bevande ai militari ricoverati. Raggiunge Piacenza e poi in corriera Mezzano Scotti ai primi di gennaio del 1943.
Terminata la convalescenza, nel marzo 1943 ritorna al corpo a Susa ma ottiene un’altra proroga e può tornare ancora alcune settimane a casa.
Rientra definitivamente in estate ma a causa di uno stato di salute non ottimale, ottiene un incarico di attendente presso un ufficiale veterinario. Con lui resta fino all’otto settembre quando, come migliaia di altri militari di leva, parte per tornare a casa. La fortuna di possedere un abito borghese, gli consente di evitare i controlli delle truppe tedesche ai posti di blocco sulle strade ma soprattutto nelle stazioni ferroviarie, rivolti a tutti coloro che portano una divisa.
Raggiunge Piacenza dove in stazione trova un gran numero di civili: soprattutto donne e uomini di mezza età che affollano le banchine con lo scopo di creare una confusione che consenta ai molti giovani fuggitivi di confondersi e dileguarsi nella città. Eligio in questa situazione ha la fortuna di incontrare un distinto signore che nonostante l’abito civile, lo riconosce come fuggitivo, lo prende con sé, lo porta a casa propria, lo fa dormire e al mattino gli presta una bicicletta per tornare a casa. Eligio ancora ricorda la frase con cui giustificò questo gesto di riconoscenza: “spero che qualcuno, da qualche parte, faccia la stessa cosa per i miei due figli”…
Tornato a casa, vive l’inverno ’43-44 facendo qualche lavoretto e suonando la fisarmonica in qualche festa di paese. Nella primavera, gli giunge voce del formarsi dei primi gruppi partigiani, in particolare a Scarniago di Travo e matura, assieme ad amici, la volontà di unirsi ad essi. Nel mese di agosto viene inquadrato in una squadra che opera nella zona di Scabiazza di Perino, Gavi e zone limitrofe. Supera il terribile inverno con conseguenze in salute che si manifesteranno anche negli anni successivi e nel febbraio 1945 avviene un’episodio fondamentale: Eligio viene catturato alle porte di Mezzano mentre sta rientrando a casa per cambiare gli abiti consunti e salutare i famigliari. Il periodo, breve ma intenso, della prigionia a Bobbio, nella caserma dei Carabinieri, alterna momenti di speranza e di disperazione, ma si conclude fortunatamente con uno scambio di prigionieri nei pressi di Barberino: un gruppo di tedeschi disarmati con il loro prigioniero arrivano da Bobbio, un gruppo di partigiani, armati, arrivano da Mezzano scortando un carro guidato dal padre Enrico (!!) con disteso sopra un’ufficiale tedesco ferito, oggetto dello scambio. Al rietro a Mezzano si svolge una grande festa (approfittando della tregua in atto) con canti, balli…
Si avvicina la fine della guerra ed Eligio attraversa qualche settimana di crisi, ha un logico momento di elaborazione dell’accaduto, viene messo a riposo e mandato per qualche settimana dalle parti di Pieve di Montarsolo, zona ormai sicura. Rientra giusto in tempo per vivere gli ultimi momenti di lotta scendendo verso valle con la sua unità e passando tra l’altro al Monticello di Gazzola pochi giorni dopo la battaglia per arrivare poi in città assieme agli altri partigiani.
A Liberazione avvenuta, riprende la sua vita da contadino ma con nel cuore e nella testa ancora tutti i momenti passati, di questo periodo ricorda spesso: “siamo andati con amici in pianura a mietere il frumento ma dopo qualche ora abbiamo buttato le falci e ci siamo messi a correre dietro alle farfalle….”.
Prosegue anche nel coltivare la sua passione: la fisarmonica che gli serve anche per guadagnare qualcosa, sono frequenti le feste private o pubbliche, il clima è di allegria e di speranza. In una di queste e precisamente la festa dell’Ascensione ai primi di maggio, nell’osteria dei Pastori di Travo conosce Adalgisa, anni 22, che sarà la sua compagna fino alla sua fine, purtroppo solo dopo meno di quarant’anni.
Con una promessa sposa e un lavoro senza futuro matura l’importante decisione di tentare di cercare fortuna nella metropoli: decide di trasferirsi a Milano.
Il 20 gennaio del ’46 riempie la valigia di cartone e parte per la grande città, ferita dalla guerra ma proprio per questo piena di fermento e di opportunità. Si accasa in uno stabile del centro, semi-diroccato dai bombardamenti e con l’acqua che cola dai tetti… ma meglio di niente!
Ha fortuna, con la sua “patente” di partigiano riesce ad ottenere un impiego nell’azienda dei trasporti pubblici, la nota ATM. Finalmente ha un lavoro fisso, uno stipendio e comincia la ricostruzione: la casa dove vive non è la sua ma contribuisce alla sua sistemazione, finalmente i tetti tengono, si può ricostruire qualche muro e comprare qualche mobile. Nella estate del 1948 si sente di poter mettere su famiglia, ne parla con la sua “Cisa” e decidono: ci si sposa e si va a vivere a Milano! Detto, fatto: matrimonio alla chiesa di Bobbiano, pranzo di nozze (si fa per dire) al Lagno dagli suoceri e poi subito via… il viaggio di nozze è il viaggio per Milano.
Il resto è la storia dei tanti italiani volonterosi che hanno ricostruito il Paese, va alla scuole serali perché non vuole finire la sua carriera da autista del filobus, prende il diploma che gli consente di passare in ufficio e togliere l’odiato cappello che gli fa ricordare quello dei militari… Diventa padre di Daniele, con mille sacrifici compra l’appartamentino, il sogno di una vita: “per la prima volta sono sotto un tetto mio!”. Si compra la “600” e qualche domenica, comincia a tornare a Travo, il richiamo delle radici è troppo forte! Le sporadiche domeniche diventano dei fine settimana e anche qualche settimana intera di ferie, arriva al fine il momento della pensione: Eligio ci va e si stabilisce a Travo ed il resto è storia di tutti i giorni…